venerdì 21 maggio 2010

Sabato mattina


Sabato mattina.
Un'altra settimana è finita e mi posso concedere l'unica ora davvero tutta per me.
Il campanile della chiesa suona le nove, in giro non c'è nessuno: poche auto lungo la strada, il rimbalzare ritmico di una pallina nel vicino circolo di tennis, qualche merlo.
I cani guardano fuori sconsolati, seduti sulla soglia della selleria: piove, ancora, di nuovo.
Pochi minuti e si comincia: il ritmico suono degli zoccoli sulla sabbia, il respiro dei cavalli, i comandi dell'istruttore, la pioggia sul telone di copertura del campo.
Ho sempre amato i cavalli, da quando ero bambina, da quando andavo con mio nonno seduta sul carro del fieno e tenevo le redini del grande cavallo da tiro, dalla schiena larga e dalla pazienza infinita.
Ma questo è un'altra cosa.
Ho cominciato da circa un anno, piano piano sto imparando, incasellando le informazioni e le sensazioni raccolte in tanti anni di passeggiate fatte qui e là, con cavalli diversi, persone diverse, con stili diversi.
Ci sono giorni in cui cui mi sento un'incapace, ce ne sono altri in cui tutto sembra più chiaro, in cui di più si sente l'intesa con il cavallo, in cui i movimenti di entrambi sono più armoniosi e sono un tutt'uno.
Come sabato scorso.
Il fatto straordinario è che in quell'ora il resto del mondo perde significato, la mente si sgombra completamente, conta solo il respiro del cavallo, l'ostacolo, la falcata, il proprio respiro: è una sensazione meravigliosa. Il silenzio del maneggio corrisponde al silenzio della mente: sono talmente concentrata che la voce interna tace ed ascolta soltanto.
E quando alla fine si smonta e il cavallo si gratta sulla mia spalla come in un rito, il mondo pian piano riprende a fluire, con me dentro.
Mi sembra di aver vissuto la vita di un'altra, di essermi guardata cavalcare, di aver letto un libro che parlava di me.
Riparte l'attesa del prossimo sabato.

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